In questi ultimi due anni mi sono piacevolmente “riscoperta” …
Riesco a cogliere le infinite bellezze del nostro territorio coniugandole alla mia passione per la cucina e per la sua meravigliosa tradizione.
Camminando lungo il parco fluviale del Vezzola, qui a Teramo, troviamo la Fonte della Noce, un sito medioevale, di grande importanza per la città, perchè, per molti secoli, ha rappresentato il rifornimento idrico di tutta la sua zona nord.
Si legge in una lapide affissa sul sito …
“La regina venne alla fontana e postisi a mensa sola con la figliola, nell’altra il signor Don Alfonso … si trattennero sino al far della notte“… (Muzio Muzij)
Alla Fonte della Noce fece sosta un paio di giorni la regina Giovanna d’Aragona, arrivata a Teramo per prendere possesso della città nel luglio del 1514.
“Per tutta la durata della cena la Regina non fece altro che compiacersi di tanta benevola accoglienza dei teramani e pregò Nochicchia e il Cancelliere di ringraziare a suo nome tutti i cittadini di Teramo, assicurando che non avrebbe mai dimenticato quelle due serate così piacevolmente trascorse nella loro città” (fonte: IL FUOCO DEI SALAMITA, di Elso S. Serpentini).
Una varietà di ingredienti differenti, una lavorazione complessa e accurata per un piatto tra i più famosi e caratteristici della cucina teramana.
Le virtù teramane … raccontiamo un pò di storia
Inutile dire che ogni famiglia conserva la propria ricetta, il proprio tocco personale … come, naturalmente accade anche a casa mia.
Il linguista italiano Giuseppe Savini, che è stato il primo a studiare in modo sistematico il dialetto teramano, riporta le origini incontestabili del piatto ai Romani, per i quali, il termine “virtù”, indicava anche l’insieme di vari tipi di legumi raccolti i primi giorni del mese di maggio.
Piatto “ufficialmente adottato come proprio dal popolo teramano”, preparazione inizialmente cucinata dall’intera comunità per i più bisognosi. In realtà, questa usanza sembra esserci ancora oggi. Le virtù sono cucinate sempre in grande abbondanza, così da essere offerte e regalate a parenti, amici e conoscenti.Sicuramente è un piatto da condividere in famiglia, di certo contribuisce con il proprio profumo fresco e, per certi versi, suadente a creare un’atmosfera primaverile e conviviale.
Comunque le Virtù teramane, come già detto, rappresentano un “piatto svuota dispensa”, in cui le donne contadine, al termine dell’inverno anche per celebrare la primavera, riversavano tutti i prodotti avanzati nelle credenze, madie e cassetti della cucina ma anche delle cantine. Prelevavano, facendo spazio per i nuovi alimenti, gli “avanzi” di pasta e di legumi, aggiungendo verdure ed essenze di stagione, colte nei propri orti.
Inutile dire che, oggi, ogni famiglia conserva gelosamente la propria ricetta con le proporzioni dei componenti ritenute più equilibrate. Ognuno pensa di avere dei segreti magari tramandati da una nonna o semplicemente acquisiti da pareri o disquisizioni sull’argomento. Anch’io… ho i miei!!!. Ho avuto modo, durante questi anni, di assaggiare tante versioni delle Virtù ma, credetemi, non ho mai trovato quelle che somigliassero alle mie virtù di famiglia. Sono convinta che ognuno di noi, attraverso questo piatto della tradizione, conserva e rivive i sapori e i ricordi dell’infanzia, della tradizione domestica, della naturalezza degli affetti.
La preparazione è piuttosto lunga e laboriosa, dovendo cucinare legumi e verdure separatamente per poi assemblarli con sapienza. Bisogna fare attenzione a inserire ogni componente in un ordine ben preciso, aggiungendo pasta di diversi formati e colori. E poi, ci sono le “essenze” che personalmente ordino per tipo come “mazzetti di fiori”, sarà perché sono romantica. Verranno, in seguito, cotte con un piedino stagionato di prosciutto, olio EVO e burro. Borragine, aneto, maggiorana, salvia, pipirella, sedano e prezzemolo. Non mancano le pallottine di carne fritte e, infine, i carciofi pastellati utilizzati per guarnire ogni porzione.
Mi accorgo di aver già svelato alcuni segreti anche se quello più importante è lo stato d’animo con cui si esegue la ricetta… è l’incanto che fa la differenza!!!
Il risultato!? Un’armonia di sapori e profumi irresistibile!!
Girello di vitello (per preparare la genovese, il cui sughetto è versato dentro al pentolone di verdure e legumi per dare sapore). Carne mista per brodo (manzo, pollo e gallina).
Procedimento:
Pulire le verdure, tagliarle e lavarle in molta acqua; bollirle separatamente. Alcune verdure e alcuni legumi (ad esempio le zucchine, le carote, i carciofi, le fave e i piselli ) nella mia famiglia vengono cotti trifolati in padella con cipolla e olio evo). Cuocere i legumi, precedentemente lasciati in ammollo almeno per 12 ore, separatamente in acqua fredda.
Preparare il brodo di carne che servirà per “allungare” le virtù e insaporirle.
In una casseruola capiente rosolare il sedano, le carote, il cipollotto e l’aglio fresco tritati in abbondante olio EVO: aggiungere il girello di vitello e lasciarle cuocere sfumando con vino bianco e acqua.
In una pentolona alta fare un soffritto di sedano, carote, cipollotto e aglio fresco tritati in abbondante olio EVO, unendo le verdure scottate e i legumi cotti con la loro acqua di cottura, lasciando insaporire per circa 30 minuti. Aggiungere il brodo di carne mista.
A parte preparare l’intingolo con le erbe aromatiche, le spezie e il sale assieme al burro, olio, prosciutto crudo. Friggere le patatine a dadini e metterle da parte. Lo stesso per i carciofi pastellati.
Cuocere a parte la pasta tricolore che, poi, verrà aggiunta alla minestra in cottura.
Versare l’intingolo, il sughetto della genovese e le patatine fritte. Mescolare bene.
Decorare ogni singolo piatto con carciofi pastellati.
P.S. A casa mia, dopo le Virtù, si era soliti mangiare la carne a genovese con un contorno di piselli trifolati.
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