Quante cene organizzate in famiglia in questo ultimo anno … mi riferisco a quelle del Sabato sera “a lume di candela” !
Ogni volta una gran fatica: pensare il tema, decidere il menù per stupire e non essere banale, trovare gli ingredienti, il vino da abbinare (che spesso era scelto in base al packaging e/o alla provenienza), scegliere come addobbare la tavola e, infine, mettersi ai fornelli a cucinare … che fatica!
Sembra banale, ma alla fine era diventato un vero e proprio impegno e, solo adesso, ripercorrendo le tante foto scattate sul mio telefono, mi rendo conto di quante cose ho fatto … ma non mi sono per nulla pentita!!!
Oggi vi ripropongo i finti TACOS al formaggio BRA con mousse di salmone e paprika piccante.
Sono semplici e di grande effetto (basta guardare le foto) e poi possono essere proposti anche per un aperitivo estivo (ci siamo ancora, vero?)
Chi ha voglia di fare con me un salto in Lombardia e assaggiare un delicato risotto alla milanese?
Con la mia ultima rivista di enogastronomia “In Viaggio per l’Italia … con Carla La Contessina” ho girato “virtualmente” in lungo e in largo la Regione Lombardia; ho conosciuto aziende, prodotti, persone cordiali che amano la loro terra e ne sanno valorizzare al meglio i prodotti.
Come poteva non essere presente nella rivista il tipico risotto color dell’oro, con zafferano e midollo? Io l’ho impreziosito ancora un pò aggiungendo il tartufo nero estivo …
La nascita del piatto meneghino parrebbe sia legata al Duomo di Milano. Siamo nell’anno 1574 e il Maestro Valerio di Fiandra è impegnato a realizzare le maestose vetrate della Cattedrale assieme al suo aiutante di nome Zafferano (chiamato così per avere l’abitudine di aggiungere sempre ai suoi colori una punta della spezia pregiatissima). Il Maestro, così, lo prendeva sempre in giro, dicendogli che per via della sua strana abitudine, prima o poi avrebbe messo lo zafferano anche nei piatti …). Fu proprio in occasione delle nozze della figlia del Maestro, che Zafferano chiese al cuoco di fare una variazione sul risotto, aggiungendo una punta della spezia pregiata!
Se non avete grandi idee, se avete poco tempo e se volete preparare un dolce strepitoso e cioccolatoso per una cena tra amici … la TORTA TENERINA fa al caso vostro!!!
Ieri pomeriggio, tornata a casa dal mare di fretta, l’ho preparata in pochissimo tempo ed è piaciuta moltissimo (un pezzetto l’ho portato via per la mia colazione di questa mattina)!
Non me ne vogliate, ma ultimamente sto rispolverando un po’ della tradizione di famiglia … ❤️
Oggi è la volta de “LA PIZZA DOGGE” (dolce) teramana (come la faceva la mia nonna paterna Carlotta). Qui a Teramo (ma diciamo in Abruzzo con le sue innumerevoli varianti), rappresenta la torta delle feste per eccellenza.
E’ la torta nuziale di un tempo, quella che suggellava l’unione tra gli sposi.
Ricordo che a noi bambini non piaceva molto, perché intrisa di liquore e poi c’era il caffè: assolutamente proibito!!!
Da adulta l’ho iniziata ad apprezzare e, ogni tanto, mettendo in pratica ricordi e “dritte” di famiglia, mi diverto a realizzarla, seguendo il mio gusto e l’amore per i fiori e per i colori.
E’ composta da strati di Pan di spagna bagnati con l’alchermes, il caffè e il rum e farciti con crema gialla e crema al cacao (o con cioccolato fondente).
Tutta la superficie è poi ricoperta da panna montata (qualcuno utilizza albumi a neve con zucchero a velo) e decorata con corallini di zucchero, ciliegine candite … ma si può dare libero sfogo alla fantasia … Io ho utilizzato panna e fiori freschi (seguendo la tradizione di famiglia e, naturalmente, della mia nonna Carlotta) …
Ingredienti:
Per il Pan di Spagna: 5 uova fresche
4 cucchiai di zucchero
5 cucchiai di farina
buccia grattugiata di 1/2 limone
1 bustina di lievito per Pan di Spagna
Per la crema: 4 tuorli d’uovo
4 cucchiai di zucchero
4 cucchiai rasi di farina
4 bicchieri di latte (da circa 200 ml)
1 stecca di cannella
30 gr di cioccolato fondente o di cacao amaro
Per la bagna del Pan di Spagna: alchermes q.b diluito in poca acqua
caffè q.b. diluito in poca acqua
rum q.b. diluito in poca acqua
Per decorare: 250 gr di panna da montare
confettini colorati o ciliegine candite e fiori commestibili bio
Preparazione:
Rompere le uova e sbatterle in una terrina con lo zucchero, unire la farina setacciandola sopra il composto, aromatizzare con la scorza di limone.
Versare il composto in una teglia imburrata e infarinata e fare cuocere a 180° per 30/40 minuti. La cottura sarà ultimata quando il Pan di Spagna presenterà una delicata doratura.
P.S. E’ consigliabile preparare il Pan di Spagna il giorno prima (per preparare questa torta, ho fatto un unico strato basso e, poi, l’ho tagliato in tre dischi tondi con un coppapasta).
Preparare la crema. In una terrina, mescolare lo zucchero con i tuorli dell’uovo. Aggiungere la farina e stemperare con il latte evitando di creare grumi. Versare in una pentola, aggiungere la stecca di cannella e fare cuocere a fiamma medio bassa, continuando a girare, fino a quando la crema si sarà addensata. Eliminare la stecca di cannella e dividere la crema in due scodelle, in una, aggiungere il cioccolato spezzettato, mescolando fino a quando si sarà sciolto completamente (si può sostituire con il cacao amaro).
Tagliare orizzontalmente il Pan di Spagna per ottenere 3 dischi di uguale spessore. Sistemare il primo disco di Pan di Spagna su un piatto da portata, bagnarlo con un po’ di caffè diluito in poca acqua. Spalmare sopra uno strato uniforme di crema al cioccolato. Sovrapporre un altro disco di pan di Spagna, bagnarlo con l’alchermes diluito. Fare uno strato di crema, proseguire con il terzo disco imbevuto di composto al rum.
Mettere in frigo a raffreddare. Nel frattempo montare la panna, e ricoprire la torta, decorandola a piacere.
Voglio raccontare un po’ delle mie cene “a lume di candela”
Non chiedetemi dove l’avevo letto … ricordo soltanto che l’idea mi piacque subito!
Di cosa sto parlando!?
Di organizzare ogni sabato sera, a casa, in famiglia e durante il lockdown, una cena raffinata, dalla preparazione del piatto a quella della tavola, per cercare di superare i momenti difficili, tenersi impegnati e, al tempo stesso, non dimenticare che dalle situazioni negative, a volte, possono nascere cose positive, uniche e irripetibili!
E dopo circa un anno di sabato sera trascorsi ai fornelli, tra le mura di casa, alle prese con piatti, stoviglie, tovaglie preziose, menu nuovi e colorati, frutta e verdura di stagione, spezie profumate, immersa in un’atmosfera intima e familiare … vi confesso che non mi sono pentita!
E lo rifarei senza esitazione!
Anzi, prima o poi tutto questo credo che lo rimpiangerò, nonostante la fatica e l’impegno considerevole e, a volte, le lamentele e le critiche della mia famiglia (chi non voleva il pesce, chi non mangiava quel tipo di verdura, chi voleva una cucina più tradizionale e non innovativa e diversa, …).
Voglio lasciare qui nel mio “blog di cucina” qualche immagine, per non dimenticare questi momenti … e, anche qualche simpatico aneddoto!
Le candele e i fiori sempre a tavola, che cambiavano colore a seconda del tema della serata … mio marito che non riusciva a vedere mio figlio seduto al suo lato opposto per la presenza del vaso di fiori (che, trascorsi i primi cinque minuti, veniva preso e spostato altrove); le candele “accese” che impedivano movimenti liberi tra le portate e l’immancabile e conseguente “puzza” di pollo bruciato 😁
La pizza al piatto da asporto di “Paolo” (una pizzeria vicino casa) ordinata dai miei figli, perché il menu della sera non era di completo gradimento …
Ma tutto questo ha fatto parte del gioco … e mi sono divertita …
Continuiamo a parlare di tradizione, di Teramo, di piatti che non si dimenticano mai e dei luoghi incantati della città.
E’ domenica e voglio fare un salto nel passato, quando da piccolissima mia madre mi portava alla Villa Comunale a fare due passi e a guardare i cigni e le paperelle. Non credo esista a Teramo un bambino che non sia mai stato con i genitori o con i nonni alla Villa Comunale.
Qualcuno l’ha definita “un’oasi di pace” … ed è proprio così … ci si perde nel verde dei giardini e si torna indietro nel tempo.
Nel 1841 nell’area della Villa, sorgeva l’orto botanico voluto da Ignazio Rozzi, medico e naturalista, animatore della “ Società Economica” della stessa città. Ma, appena dopo la sua morte, nel 1884, l’orto botanico divenne Villa Comunale.
Al centro della Villa un laghetto con papere, cigni, tartarughe … e lungo i viali troviamo diversi cippi funebri dedicati a illustri personaggi teramani.
Nel giardino, nato tra il 1868 e il 1888, troviamo il Museo Civico di Teramo (o Pinacoteca Comunale), che raccoglie, nelle sue 15 sale, molteplici opere, una volta, sede del Tribunale della città. Qui anche l’affresco del pittore Gennaro della Monica, “Bruto e i figli” (1886), chiamato per dipingere il salone della Corte d’Assise del Tribunale.
Ma quale piatto teramano oggi?!
Un po’ fuori stagione … ma sono sempre buonissime, le SFOGLIATELLE alla TERAMANA conmarmellata d’uva.
Questa è la ricetta della mia zia paterna …
Io non sono molto brava e, quando e se decido di prepararle, utilizzo i rotoli di pasta sfoglia già pronti. E poi, dentro, metto solo marmellata d’uva (la sfogliatella mi piace così).
In questi ultimi due anni mi sono piacevolmente “riscoperta” …
Riesco a cogliere le infinite bellezze del nostro territorio coniugandole alla mia passione per la cucina e per la sua meravigliosa tradizione.
Camminando lungo il parco fluviale del Vezzola, qui a Teramo, troviamo la Fonte della Noce, un sito medioevale, di grande importanza per la città, perchè, per molti secoli, ha rappresentato il rifornimento idrico di tutta la sua zona nord.
Si legge in una lapide affissa sul sito …
“La regina venne alla fontana e postisi a mensa sola con la figliola, nell’altra il signor Don Alfonso … si trattennero sino al far della notte“… (Muzio Muzij)
Alla Fonte della Noce fece sosta un paio di giorni la regina Giovanna d’Aragona, arrivata a Teramo per prendere possesso della città nel luglio del 1514.
“Per tutta la durata della cena la Regina non fece altro che compiacersi di tanta benevola accoglienza dei teramani e pregò Nochicchia e il Cancelliere di ringraziare a suo nome tutti i cittadini di Teramo, assicurando che non avrebbe mai dimenticato quelle due serate così piacevolmente trascorse nella loro città” (fonte: IL FUOCO DEI SALAMITA, di Elso S. Serpentini).
Una varietà di ingredienti differenti, una lavorazione complessa e accurata per un piatto tra i più famosi e caratteristici della cucina teramana.
Le virtù teramane … raccontiamo un pò di storia
Inutile dire che ogni famiglia conserva la propria ricetta, il proprio tocco personale … come, naturalmente accade anche a casa mia.
Il linguista italiano Giuseppe Savini, che è stato il primo a studiare in modo sistematico il dialetto teramano, riporta le origini incontestabili del piatto ai Romani, per i quali, il termine “virtù”, indicava anche l’insieme di vari tipi di legumi raccolti i primi giorni del mese di maggio.
Piatto “ufficialmente adottato come proprio dal popolo teramano”, preparazione inizialmente cucinata dall’intera comunità per i più bisognosi. In realtà, questa usanza sembra esserci ancora oggi. Le virtù sono cucinate sempre in grande abbondanza, così da essere offerte e regalate a parenti, amici e conoscenti.Sicuramente è un piatto da condividere in famiglia, di certo contribuisce con il proprio profumo fresco e, per certi versi, suadente a creare un’atmosfera primaverile e conviviale.
Comunque le Virtù teramane, come già detto, rappresentano un “piatto svuota dispensa”, in cui le donne contadine, al termine dell’inverno anche per celebrare la primavera, riversavano tutti i prodotti avanzati nelle credenze, madie e cassetti della cucina ma anche delle cantine. Prelevavano, facendo spazio per i nuovi alimenti, gli “avanzi” di pasta e di legumi, aggiungendo verdure ed essenze di stagione, colte nei propri orti.
Inutile dire che, oggi, ogni famiglia conserva gelosamente la propria ricetta con le proporzioni dei componenti ritenute più equilibrate. Ognuno pensa di avere dei segreti magari tramandati da una nonna o semplicemente acquisiti da pareri o disquisizioni sull’argomento. Anch’io… ho i miei!!!. Ho avuto modo, durante questi anni, di assaggiare tante versioni delle Virtù ma, credetemi, non ho mai trovato quelle che somigliassero alle mie virtù di famiglia. Sono convinta che ognuno di noi, attraverso questo piatto della tradizione, conserva e rivive i sapori e i ricordi dell’infanzia, della tradizione domestica, della naturalezza degli affetti.
La preparazione è piuttosto lunga e laboriosa, dovendo cucinare legumi e verdure separatamente per poi assemblarli con sapienza. Bisogna fare attenzione a inserire ogni componente in un ordine ben preciso, aggiungendo pasta di diversi formati e colori. E poi, ci sono le “essenze” che personalmente ordino per tipo come “mazzetti di fiori”, sarà perché sono romantica. Verranno, in seguito, cotte con un piedino stagionato di prosciutto, olio EVO e burro. Borragine, aneto, maggiorana, salvia, pipirella, sedano e prezzemolo. Non mancano le pallottine di carne fritte e, infine, i carciofi pastellati utilizzati per guarnire ogni porzione.
Mi accorgo di aver già svelato alcuni segreti anche se quello più importante è lo stato d’animo con cui si esegue la ricetta… è l’incanto che fa la differenza!!!
Il risultato!? Un’armonia di sapori e profumi irresistibile!!
Girello di vitello (per preparare la genovese, il cui sughetto è versato dentro al pentolone di verdure e legumi per dare sapore). Carne mista per brodo (manzo, pollo e gallina).
Procedimento:
Pulire le verdure, tagliarle e lavarle in molta acqua; bollirle separatamente. Alcune verdure e alcuni legumi (ad esempio le zucchine, le carote, i carciofi, le fave e i piselli ) nella mia famiglia vengono cotti trifolati in padella con cipolla e olio evo). Cuocere i legumi, precedentemente lasciati in ammollo almeno per 12 ore, separatamente in acqua fredda.
Preparare il brodo di carne che servirà per “allungare” le virtù e insaporirle.
In una casseruola capiente rosolare il sedano, le carote, il cipollotto e l’aglio fresco tritati in abbondante olio EVO: aggiungere il girello di vitello e lasciarle cuocere sfumando con vino bianco e acqua.
In una pentolona alta fare un soffritto di sedano, carote, cipollotto e aglio fresco tritati in abbondante olio EVO, unendo le verdure scottate e i legumi cotti con la loro acqua di cottura, lasciando insaporire per circa 30 minuti. Aggiungere il brodo di carne mista.
A parte preparare l’intingolo con le erbe aromatiche, le spezie e il sale assieme al burro, olio, prosciutto crudo. Friggere le patatine a dadini e metterle da parte. Lo stesso per i carciofi pastellati.
Cuocere a parte la pasta tricolore che, poi, verrà aggiunta alla minestra in cottura.
Versare l’intingolo, il sughetto della genovese e le patatine fritte. Mescolare bene.
Decorare ogni singolo piatto con carciofi pastellati.
P.S. A casa mia, dopo le Virtù, si era soliti mangiare la carne a genovese con un contorno di piselli trifolati.
Vi capita mai di svegliarvi la mattina già stanchi e di non avere voglia di alzarvi dal letto!? Forse il tempo o forse la situazione balorda degli ultimi mesi o forse la Primavera (che stenta ad arrivare)!
Io cerco sempre di trovare una soluzione: puntare un obiettivo, ma che sia facilmente raggiungibile e che sia dolce (ne vado pazza)!!
Vi propongo un tortino al riso rosso (polverizzato), con l’aggiunta di succo d’arancia 🍊 e di crema dolce al pistacchio. Beh … con una mezz’oretta a me è tornata la carica!!! 😍
Una tappa in Abruzzo, con la Rivista Novella Cucina del Mese di Aprile 2021, per riscoprire la tradizione contadina e festeggiare la Pasqua in famiglia.
Tanti ricordi dell’infanzia che si intrecciano tra loro, i racconti di famiglia, usanze e riti che resteranno sempre nel cuore e che cercherò con tutte le mie forze di tenere stretti riproponendoli alle persone più care quando se ne presenterà l’occasione.
Avete voglia di viaggiare un pò con me e con la mia tradizione?
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